Post Match - Alle radici del male

17/01/2021 alle 09:41.
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LAROMA24.IT (Mirko Bussi) – "Abbiamo perso per un errore individuale". E' la tettoia dove, a turno, si rifugiano almeno una volta gli allenatori sotto la tempesta. La stampa è sazia e sa dove poter affondare i denti, il tifoso più aspro sa a quale indirizzo spedire le proprie maledizioni, la figura del tecnico è salva. Peggio del derby di venerdì sera dev’essere stata, almeno così consolerebbe pensare, la notte di Roger Ibanez. Additato a principale responsabile della disfatta. D’altronde la figura che fa su primo, secondo e, in parte, anche terzo gol non lo aiuta a scagionarsi al primo appello. Ma resta una parte, non il tutto.
Perché le distanze e i numeri che affollano un campo da calcio rendono prossime allo zero le situazioni prettamente individuali, con ogni calciatore che interagisce, almeno, con un altro o del quale sfrutta, viceversa paga, l’opera precedente. Se al singolo spetta l’onore del gol, o l’onere dell’errore, è soltanto alle squadre che può esser riconosciuto il merito, o il demerito, di un risultato.

Scavando oltre i misfatti di Ibanez, infatti, c’è il sistema romanista letteralmente imploso. "Qual è la caratteristica che non dovrà mancare domani?" si chiedeva a Fonseca alla vigilia del derby. "L’aggressività", rispondeva senza dubbio alcuno il tecnico della Roma. Quella che invece gli si ritorcerà contro. Prima che prettamente calcistica, l’aggressività che si ritrova davanti la Roma venerdì è ambientale. La Lazio scende in campo predisposta ad una faida, incendiando ogni contrasto (ne tenterà 28 alla fine dei conti, contro i 16 romanisti) con ridondanti proteste della panchina che hanno l'effetto di trascinarsi dietro, almeno per un tratto, anche le interpretazioni arbitrali. Non è un’accusa, semmai il riconoscimento di un merito, quello di aver avuto il dominio su tutte le parti in gioco. Per questo, prima di frammentare i flussi dei gol, è necessario contestualizzarli e capire in quale mareggiata emotiva si era conficcata la nave romanista.

Se del primo gol resta impressa la disconnessione di Ibanez, basta riavvolgere il nastro indietro di poco e scoprire che sono almeno altri 3 gli strafalcioni concatenati. E partono quasi 100 metri indietro, dall’area avversaria.

Nel secondo, invece, risalgono violenti tutti gli effetti collaterali di un’aggressività che col passare del tempo prende le sembianze di una chimera. Tutti o quasi, ormai, sbandierano la volontà di rimpossessarsi del pallone il prima possibile. Per farlo, però, serve una sinergia istantanea e d’elevata intensità da parte dei calciatori prossimi alla zona del pallone, oltre ad adeguati posizionamenti difensivi. Se questo non avviene, infatti, le controindicazioni sono letali. Qui con due mosse, quella di Milinkovic pregevole, la Lazio ha fatto deragliare metà equipaggio della Roma.

Il collasso emotivo, prima che tattico o tecnico, si materializza nel 3-0, dove ogni calciatore della Roma è plagiato dalla scelta avversaria. L’atteggiamento di Spinazzola traccia a sufficienza lo squarcio nel telaio romanista, incapace di rendersi aggressivo ed obbligando così chi sta più indietro ad atroci duelli difensivi con decine di metri alle spalle. Le azioni di pressing finite al vento, oltre ad alimentare un senso di frustrazione alla lunga, scoprono sempre la palla avversaria, facendo scattare l'allarme difensivo con la linea romanista che si precipita a scappare all'indietro, come da protocollo. Il risultato è allungarsi oltre il consigliabile: con 29,46 metri medi di lunghezza durante il possesso avversario, il dato del derby è il 3° più alto del campionato della Roma. Lunga come lo è stata soltanto la notte di venerdì.

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