LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Alla faccia del mercato di riparazione. Avevamo già evidenziato quanto fosse fuoriluogo e superficiale snobbare la finestra invernale della compravendita, non come auspicio ma per storia, ricordando per esempio che la Roma, fra ottobre e gennaio, ingaggiò quattro campioni d'Italia (Delvecchio, Candela, Zago e Nakata), oltre a Dacourt, Toni, Nainggolan, Perotti ed El Shaarawy; oppure che il Milan a inizio anni novanta prelevò Desailly dal Marsiglia. Tanto per fare alcuni eclatanti esempi. Il 2022 inizia col botto. La Roma ha acceso il calciomercato, la Juventus lo ha infiammato, l'Inter rinfocolato. Con idee, e coi pagherò, a gennaio non operano soltanto le disperate Genoa e Salernitana.
A gennaio puoi comprare colonne e non orpelli. Sergio Oliveira e Maitland-Niles, Vlahovic e Gosens e Boga. Da riparare in Italia c'è soltanto una dialettica calcistica basata sulla pigrizia mentale. Una grande firma scrive che il mercato di gennaio non serve, tutti (o quasi) le vanno dietro. Sbagliare tutti affinché non sbagli nessuno. Impunità di gregge. Preso atto(?) dell'importanza del primo mese dell'anno, scatta la fase due. Come fanno le italiane a comprare? Come può Arrivabene, dirigente juventino che a tutti pareva un tagliatore di teste e che invece si ritrova a a certificare l'acquisto più oneroso di sempre della sessione invernale, passare da dichiarazioni di guerra e carestia a un'opulenza che stride con le difficoltà del momento? Potremmo chiamarlo rischio di impresa? Ricordate? Definizione utilizzata già quando la Roma prese Mourinho, ma in quel caso rischio di impresa calcolato, paradossalmente sobrio.
I club italiani sanno che l'unica vera grande fonte di sostentamento sono i premi Uefa, in cuor loro consapevoli di non avere creato alcun altro tipo di introito. E allora devono impegnare le residue fiches per il tesseramento del calciatore o dell'allenatore che scovi la scorciatoia. Tre anni e mezzo fa la Juventus prese Cristiano Ronaldo per vincere la Champions League. Oggi compra Vlahovic per tornare in Champions League. Potenza del ridimensionamento. Minimo comune denominatore: la spesa esorbitante. L'indice di liquidità non diventa indice accusatore perché la Exor, holding di famiglia, ha appena iniettato soldi per l'aumento di capitale più grande di sempre. Poi i giustificatori di professione ci vorranno spiegare pure che i soldi risparmiati con l'addio di Cristiano Ronaldo si ammortizza la spesa per Vlahovic. Ma se la Juventus ha risparmiato quei soldi, lo ha fatto per evitare ulteriori emorragie, non per tornare in boutique a comprare un nuovo vestito di gala.
E allora, laddove non basta Allegri, certificato che gli attaccanti non segnano e che il centrocampo, ahiloro figlio degli sfaceli di Paratici, è meno competitivo di quello della Fiorentina, all-in sul serbo dei viola. Basterà? Cristiano Ronaldo non bastò. Ecco perché si chiama rischio di impresa. La Juventus i soldi li punta sul tavolo verde sperando che le sia entrato l'asso, non li ha depositati su un libretto postale, che li metti là e nessuno te li tocca. L'Italia, per abitudini e scarse capacità manageriali, è inutile che apra musei negli stadi (anche perché bisognerebbe avere gli stadi) o pensi di fare business con le magliette dei campioni. Siamo un popolo da croste delle bancarelle, vorremmo ispirarci agli americani ma in fondo siamo quelli che agli americani vogliono vendere la fontana di Trevi. E i ricavi continueremo a cercarli sempre e comunque nei piazzamenti. Un po' come i cavallari in sala corsa. Se poi va male, si chiede aiuto. E infatti il calcio italiano continua a vestirsi da Pulcinella chiedendo sguaiatamente sostegno al governo, non per i beni di prima necessità ma per continuare a frequentare il ristorante stellato. Come i cavallari, appunto.
In the box - @augustociardi75