LR24 (MATTEO VITALE) - Per analizzare il momento o più in generale il rendimento della Roma è necessario partire da noi stessi, guardarci dentro. La verità, per quanto brutale e poco piacevole possa essere per una tifoseria orgogliosa e fiera come la nostra, è che andare in Champions League tramite campionato sarebbe a tutti gli effetti un vero e proprio miracolo sportivo. E non perché la Roma non sia abbastanza forte, semplicemente perché vorrebbe dire aver tenuto un passo-Scudetto. Certo, sono i titoli che restano, ma la Roma è all’inizio di un percorso che possa rendere i giocatori, e di conseguenza i tifosi, felici. E la felicità non è fatta solo di successi.
Qualche mese fa anche gli altoparlanti dei parcheggi ripetevano “squadra da nono posto”, “squadra non abbastanza forte”. Il dotto riferimento all’effetto Florida di De Rossi ha chiarito anche perché abbia a lungo insistito sulla formula “siamo forti”, lasciando intendere come non fosse per nulla casuale (si parla comunque di un altro “effetto”: Rosenthal). Anzitutto perché lo pensa davvero, ma anche perché quello che diciamo diventa realtà, o quantomeno lo diventa per noi.
La nostra realtà il 16 gennaio era una sorta di Waste Land eliottiana. Oggi la Roma sta vivendo la propria primavera, fra mille difficoltà, ma non basta e potrebbe non bastare, perché le cose non dipendevano da noi prima e non dipendono da noi ora. Giocare di rincorsa stanca, risalire la corrente stanca, anche e soprattutto quando sei costantemente con l’acqua alla gola, più o meno dal 16 gennaio. Il punto di partenza era basso, bassissimo, motivo per il quale ogni gara pesa 4 punti, e non 3.
Giovedì una grande impresa, lunedì un passo falso onestamente (nessuno si offenda) fisiologico, oltretutto maturato in maniera piuttosto casuale: tutto da buttare? Ma non scherziamo, farlo sarebbe davvero un atto violento ai danni della Roma e chi ama questa squadra in teoria dovrebbe difenderla, non attaccarla.
La squadra giallorossa, perfettamente (o quasi) guidata da mister De Rossi, è stanca e questo è un altro dato da considerare, perché la stanchezza costa errori e gli errori si traducono in punti persi. Alla difficoltà dei due impegni, che rappresentano un problema bello da vivere e risolvere (una semifinale europea è e sempre sarà un privilegio), va aggiunto uno più grande: non è più tempo di turn over, ogni minuto di gioco che passa diventa più difficile dare spazio alle seconde linee, come dimostra Lecce. Ogni partita la Roma deve affrontare anche lo spirito del Natale passato e questo aggiunge gradi di difficoltà in una situazione già di suo complessa.
Tutto finito? No, proprio no, tutto il contrario, la Roma è pienamente in corsa e questo, considerando il punto di partenza (29 miseri punti in 20 partite), è il più grande merito di mister Daniele De Rossi. “Believe”, direbbe Ted Lasso: questa storia è ancora tutta da scrivere.