
IL TEMPO (S. NOVELLI) - C'è qualcosa che va oltre la politica, talmente oltre che non si può nemmeno più definire tale. Il blocco dell'avvio degli scavi sull'area indicata per la realizzazione dello Stadio della Roma è non solo disarmante ma oltraggioso nei confronti di una Capitale che prova a entrare non nel futuro ma - più banalmente - nel presente. Immaginatevi una cosa del genere in qualsiasi altra Capitale democratica, per non dire semplicemente città.
A chi verrebbe in mente di organizzare un sit-in che di fatto ha impedito l'accesso ai camion nell'area di Pietralata per dire «no» alla realizzazione dello stadio della Roma, prima di aspettare l'esito degli scavi propedeutici alla costruzione? Ovviamente parte della sinistra romana, che pure siede nella giunta di Roberto Gualtieri al timone della città.
A mettere infatti il cappello sulla «ridicola» vicenda l'onorevole Filiberto Zaratti di Avs, e il consigliere capitolino dello stesso partito Nando Bonessio che chiedono l'apertura di un confronto, mentre i manifestanti (secondo la questura un centinaio) del comitato
«No allo stadio, sì al parco» hanno già calendarizzato le prossime manifestazioni. Una battaglia organizzata ad hoc per "difendere" un paio di ettari di «bosco nel contesto di una area verde e pubblica di 14 ettari prevista dal 1995». E già 1995. Da allora più che bosco (del quale non se ne parlava più proprio dal 1995) trattasi di sterpaglie abbandonate e qualche baracca.
Perché opporsi agli scavi? Perché opporsi allo Stadio? Un'opera che porterebbe nuovi spazi pubblici e un'infrastruttura a servizio della città, oltre che del calcio. Per non parlare della riqualificazione di un quartiere caduto nell'oblio di quella stessa sinistra che «abbaia» con i comitati e non morde mai nelle stanze del potere (do-ve siede ancora comoda). E che dire dei Cinquestelle, che dopo aver perso cinque anni per un progetto folle (lo stadio a Tor di Valle), da una parte condannano la barricata (pure se qualche esponente è presente), dall'altra presentano un esposto, cosi tanto per rallentare ancora qualche opera da realizzare in città. La difesa insomma di qualcosa che non esiste pur di fermare il progresso e ottenere, chissà, qualcosa in cambio. Non è politica questa, né difesa dei diritti. È una bieca strategia post bellica che i cittadini, appunto, non capiscono più. Un fermare sempre qualcosa di nuovo in nome e per conto del proprio «orticello». Altro che bosco.