CORSPORT - Gabriele Gravina, presidente della FIGC, ha rilasciato un'intervista all'edizione odierna del quotidiano e tra i vari temi trattati si è soffermato sulla situazione del calcio italiano. Ecco le sue dichiarazioni.
Dimissioni in caso di mancato Mondiale?
«Non c’è una norma che mi impone di fare un passo indietro, ma delle riflessioni personali le farei. A chi mi dice “vai a lavorare” rispondo: se vado via io, riparte il calcio e vinciamo i Mondiali? Se ne avessi la certezza, sarei il primo a farmi da parte. Per questo sono un uomo sereno».
Si aggrappa all’ottimismo?
«Sì, e lo faccio su basi concrete, reali, su elementi oggettivi come il percorso che ci ha portato fin qui al netto del secondo tempo con la Norvegia. Il pessimismo ci fa sprecare energie, disperderle non aiuta la causa. L’obiettivo è alla portata. Rimbocchiamoci le maniche, impegniamoci tutti insieme. E dico tutti».
Si riferisce ai suoi avversari?
«È innegabile che qualcuno viva la Nazionale come un fastidio».
I giovani non giocano, gli stranieri in campo sono sempre di più, gli investimenti nei vivai e nelle infrastrutture sono un miraggio e le proprietà estere hanno colonizzato il nostro calcio mettendo un impegno emotivo e politico limitato.
«I soldi li mettono, però. Sono tra i pochi che trasformano le risorse in capitale, dando ossigeno al sistema. Per me le cause sono anche altre».
Quali?
«La metodologia sbagliata. Ogni volta che la Nazionale commette un passo falso, immediatamente c’è l’indignazione popolare e si chiedono le teste. Ci sto, è il gioco dei tifosi. Ma noi continuiamo a cercare colpevoli senza renderci conto che la Figc non può imporre certe cose, ma soltanto sensibilizzare».
In che modo?
«Abbiamo ad esempio approvato una norma che permette di scorporare dal numeratore dell’indicatore del costo del lavoro allargato gli ammortamenti e gli stipendi degli Under 23 italiani. Rendiamo conveniente puntare sui giovani azzurri».
Ci si chiede come si possa avere una Nazionale competitiva senza italiani in campo.
«Ne abbiamo 97 selezionabili, il 25% del totale. Novantasette su 20 club di A, vi rendete conto?».
Tornare al passato, con un numero ridotto e definito di stranieri per rosa, è utopistico?
«È impossibile. La Figc può solamente intervenire sugli extracomunitari, come ha già fatto, rispettando le quote assegnate dalla legge Bossi-Fini. È impossibile limitare il numero di stranieri comunitari, è contro le norme Ue che dalla sentenza Bosman in poi prevedono la libera circolazione dei calciatori. Puntare sugli italiani non può essere un obbligo, semmai deve diventare una vocazione naturale. Che si abbina agli investimenti sui settori giovanili e sulle infrastrutture».
La Norvegia ha attuato un programma serio sui giovani.
«Anche noi ci stiamo lavorando».
Non è un po’ tardi?
«La nostra progettualità va avanti dal 2018, nel frattempo siamo diventati campioni d’Europa con l’Under 17 e con l’Under 19 e vicecampioni del mondo Under 20. Stiamo poi avviando un progetto per l’attività di base dai 5 ai 13 anni con due campioni del mondo, Perrotta e Zambrotta, insieme a un maestro come Prandelli. Vogliamo cancellare l’idea di un metodo incentrato solo sulla tattica».
Ma le società di Serie A sono antagoniste della Nazionale?
«Oggettivamente lo sono, anche se involontariamente. Ogni club guarda al proprio tornaconto».
La riforma dei campionati è in agenda?
«Prima di marzo dobbiamo aprire il tavolo».
In tutte le leghe ci sono i “graviniani”, tranne in A. Le ultime elezioni le ha vinte con oltre il 98% dei consensi.
«La riforma dovrà essere radicale. In Italia abbiamo 100 società professionistiche rispetto alle 92 dell'Inghilterra, che ha due livelli di professionismo. Nella nostra Serie B il 35% del turnover surriscalda il sistema e lo indebita. Il concetto di mutualità tra le leghe ha una percentuale altissima in termini di divario. Non può ridursi tutto a “Serie A a 18 sì o no”. Serve il consenso di tutte le leghe».
Ormai si lamentano tutti: si gioca troppo. Ci rimettono lo spettacolo e la salute dei calciatori. Non si potrebbe frenare questo desiderio espansionistico, economico ed elettorale del presidente della Fifa?
«Infantino in questo momento vive in una dimensione mondiale. Sta valorizzando aspetti che il calcio non aveva mai conosciuto prima. Siede ai tavoli per la pace e ha rapporti consolidati con la politica internazionale. L’altra faccia della medaglia è questo motore che viaggia ad altissimi giri sempre. Così rischiamo di fonderlo. Dobbiamo cominciare a ragionare in maniera organica, di sistema, rispettare principi di globalizzazione ma anche le vere regole gioiose del calcio. Non dobbiamo ingolfare così i nostri calendari».
Molti ritengono sia colpa soprattutto delle nazionali.
«Come si fa anche solo a pensare di toglierle? La Nazionale è identità territoriale, fenomeno di aggregazione, ci rende orgogliosi del nostro Paese e ci unisce nella solidarietà quando va male. Sono sentimenti che fanno bene a un popolo».
La sensazione è che Uefa e Fifa abbiano in mente soprattutto il profitto.
«Se fosse questa la direzione, sarebbe una direzione sbagliata».




